VITA SPIRITUALE DI SAN FERDINANDO
Conquistare la fede cattolica
Fernando, essendo re, sentiva nel suo animo la necessità di servire Gesù Cristo conquistando la fede cattolica, avendo come unico obiettivo la diffusione della fede in Cristo per la maggior gloria di Dio.
Mortificazione e penitenza
San Ferdinando praticò la mortificazione e la penitenza, come tutti i santi. Dalle Cronache sappiamo che dedicò tutta la sua vita al servizio del suo popolo per amore di Dio, con tale diligenza, costanza e sacrificio, che stupisce. San Ferdinando cattura così l’anima di tutti gli storici, dai suoi immediati contemporanei fino a quelli attuali.
In alcune occasioni particolarmente importanti, si poneva sotto l’abito o sotto l’armatura, una sorta di camicia, che aveva cucite al suo interno fino a trecento punte di ferro, che gli copriva il petto, la schiena, le spalle e le braccia; allo stesso modo, salvo caso di malattia, si disciplinava tre volte alla settimana fino a sanguinare. Ferdinando si imponeva questi ed altri sacrifici per assoggettare il suo corpo e supplicare Dio per le cose che più gli importavano, dimostrando che davvero gli importavano, in quanto per esse si sacrificava.
Così, quando Siviglia sembrava inespugnabile, Ferdinando fece appello a tutti i mezzi umani, ma ricorse soprattutto a Dio, il Signore degli Eserciti. Indossò un ruvido cilicio e si sottopose alla disciplina tre volte alla settimana. Ricorse, allo stesso modo all’aiuto dei Santi. Stando a León, era diventato molto devoto a due di essi, che secoli addietro erano stati Arcivescovi di Siviglia, San Leandro e San Isidoro. È credenza popolare che quest’ultimo fu colui che lo animò interiormente a perseverare nell’assedio della città.
Prudenza nel governo
Come sovrano eccelle in virtù eroiche. Si distinse in particolare in una delle virtù proprie di coloro che tengono le redini di un popolo, ovvero, la prudenza nel governo. Fin da quando aveva 18 anni cominciò a governare con tanta abilità come se possedesse una grande esperienza. A coloro che fecero parte delle sue corti apparve sempre ammirabile il giudizio con il quale deliberava e la maturità con la quale risolveva le questioni.
Come ha scritto Ribadeneria, “sembrava antica la prudenza in un re giovane”.
Tuttavia, sapendo che poteva sbagliare, il che è un’ulteriore manifestazione di detta virtù, chiedeva sempre consiglio alla sua corte e nelle campagne militari a dodici uomini aggi, provenienti dall’Università di Salamanca, con i quali si consultava per tutti i suoi propositi, non per spogliarsi della sua autorità, seguendo ciò che gli diceva la maggioranza, ma per chiarire la sua intelligenza con i lumi che i saggi gli proponevano.
Da questi dodici uomini saggi ebbe origine ciò che in seguito venne chiamato il Consiglio Reale di Castiglia.
Giustizia
Insieme alla prudenza rispendeva in San Ferdinando la virtù della giustizia. Perdonava con facilità i torti che subiva, come si vide agli inizi del suo regno, nel quale concesse un perdono generale di tutte le ingiurie che i suoi vassalli avevano commesso, e pur potendo vendicarsi di alcuni di loro, come per esempio dei conti di Lara e di altri signori che si erano ribellati, non lo fece, ma li colmò di favori. Ma quando l’ingiustizia non era compiuta contro la sua persona, ma contro Dio, contro la Vergine, le vedove o i poveri, il suo furore santo si incendiava.
Misericordia
Senza dubbio questa giustizia non si staccava mai dalla misericordia. È stato detto che Ferdinando aveva una giustizia misericordiosa ed una misericordia giusta, perché castigava con severità i ribelli ma perdonava con pietà i pentiti. Mai la sua spada si macchiò di sangue innocente, e quando succedeva con quello dei colpevoli, il suo cuore sanguinava. Nel castigare come nel giudice, non dimenticava di essere padre.
Carità
Nell’amministrazione della giustizia si preoccupava in particolare che i poveri non soffrissero per colpa dei ricchi. Sentiva che la grandezza dei re consisteva nell’essere rifugio degli innocenti e di coloro che erano nel bisogno. Per questo lasciava sempre aperta una porta del suo palazzo e facilmente concedeva udienza a coloro che lo sollecitavano, molte volte giudicando in prima persona le cause dei poveri.
La sua carità non conosceva limiti. Fondò ospedali, case di rifugio e di misericordia; e in guerra, lo stesso re santo svolgeva il compito di infermiere con i soldati feriti. Li visitava, li consolava, faceva loro regali, e non poche volte, con le sue mani medicava i loro corpi feriti dalla battaglia.
Come dice Ribadeneira, “Ferdinando era occhi per il cieco, piedi per lo storpio, riparo per gli orfani, rimedio delle vedove, protezione per i indigenti, rimedio a tutte le necessità, padre dei suoi sudditi, e re dei loro cuori, che coltivava e rassicurava con la soave forza del suo amore”. Non cessò mai di fare l’elemosina agli indigenti. Per questo a volte lo si è rappresentato con lo scettro nella mano sinistra e con la destra mentre distribuisce monete ai mendicanti che lo circondano. Egli fu colui il quale introdusse il pietoso costume di lavare i piedi a dodici poveri il Giovedì Santo.
Un altro dettaglio della sua pratica caritativa viene raccontato da suo figlio Alfonso, il quale ricorda che quando andava a cavallo accompagnato da gente a piedi, Ferdinando III si allontanava dalla strada, affinché la polvere non molestasse coloro che procedevano a piedi né accecare i muli.
Collaborazione con la Chiesa
San Ferdinando fu un re santo nello stile dei re medievali, che concepivano la loro regalità come un vicariato di Dio in favore del suo popolo, nella “unione più stretta con la Chiesa. Non è che il re Ferdinando si lasciava influenzare dai prelati nelle cose che competevano la sua giurisdizione regale, nella quale si mostrava signorilmente indipendente. Ma dato che i suoi erano allo stesso tempo sudditi del re e della Chiesa, comprendeva la necessità di unire lo scettro regale al bastone episcopale, la spada del re alla croce di Cristo, sostegno spirituale della sua amministrazione nell’ordine temporale. Rispondendo ad alcuni dei suoi, durante l’assedio di Siviglia, che si avvalevano di una parte delle rendite ecclesiastiche,
per poi trovarsi privi di denaro quando la necessità era tanto grande e la causa tanto giusta, disse: “Agli ecclesiastici chiedo solo le preghiere. Bisogna chiederle e sollecitarle sempre, perché ai loro santi sacrifici e alle loro preghiere dobbiamo la maggior parte delle nostre conquiste”.
Trovò appoggio, soprattutto, negli Ordini Mendicanti, nati di recente, tanto che, come dice Ribadeneira, “quando essi con le loro sacre compagnie di religiosi distruggono con la parola gli eretici, Ferdinando con i suoi soldati bandisce con le armi il Corano dalla Spagna e allarga i confini della fede cristiana”. Questo spiega la forte protezione che concedette a suddetti Ordini. Per questo fece edificare numerosi conventi e monasteri di religiosi, convinto che i templi fossero i baluardi del suo regno, gli ordini religiosi le sue mura, e i cori dei religiosi i suoi soldati, perché confidava più nelle loro preghiere che nelle sue armi, perché essi cantando lodi a Dio meritano le vittorie per il suo esercito. Fu la stessa idea che lo portò ad intraprendere la costruzione delle più splendide cattedrali di Spagna, come quelle di Burgos e Toledo, e forse anche di León, che fu avviata durante il suo regno. Non si costruiva Chiesa nella quale non volesse aver parte. Provava profondo rispetto per i templi e si mostrava gelosissimo del loro carattere sacro, rimediando agli oltraggi causati dai mori.
Uomo di preghiera
Nell’intimo di Ferdinando palpitava un’intensa “vita spiritale”. Era, davvero, un uomo di preghiera. Quando doveva affrontare qualche grave necessità, passava notti intere alla presenza di Dio, pregando per il suo popolo ed implorando la benevolenza divina. Ricordiamo un aneddoto della sua vita che ci mostra questa costante orazione. Ad esempio, mentre si trovava a Toledo costretto a letto da una malattia, vegliava di notte pregando per i suoi. Quando gli chiedevano di riposarsi replicava: “Se non veglio, come potreste voi dormire tranquilli?”.
Partecipazione frequente al sacrificio della Messa
Impressiona anche in questo re e padre di famiglia, il fatto che partecipava alla Messa ogni giorno, anche durante le campagne di guerra. Le Cronache ci raccontano che, dopo essersi comunicato, aveva l’abitudine di chiudere gli occhi. Un giorno sua madre gli chiese perché lo facesse: “So che Gesù Cristo è dentro di me” le rispose, “e per parlargli chiudo gli occhi e gli dico che Egli è il mio Re e Signore, ed io sono il suo cavaliere, e che voglio affrontare grandi fatiche per Lui nella conquista spagnola contro i mori, e che la sua Madre gloriosa è la mia Signora”.
E giustamente suo figlio Alonso diceva: “Non ho mai conosciuto re migliore ho di lui nell’incontro con Dio”.
Devozione alla Santissima Vergine
Allo stesso modo fu ammirabile la sua devozione alla Santissima Vergine. La amava più di quanto amasse i suoi stessi figli, accorrendo a Lei con maggiore fiducia di quanta ne riponesse nella sua stessa madre.
Se ogni cavaliere deve avere la sua dama, Maria fu per Ferdinando la Dama dei suoi sogni. Era consigliera nelle sue imprese, compagna delle sue giornate, ragione delle sue conquiste. Era al principio e alla fine delle sue battaglie, giacché non solo le conduceva in nome di Dio, ma anche di Nostra Signora, e le sue vittorie erano come un trionfo di Maria.
Soleva portare sempre con sé due immagini mariane. La prima era la Vergine dei Re, magnifico regalo di sui cugino, il primo San Luigi. [San Luigi IX, re di Francia n.d.T.]
Per questa immagine, che proclamò patrona del suo esercito, Ferdinando mostrò particolare devozione. Con essa si tratteneva in preghiera nelle ore che gli restavano libere dai suoi obblighi di re. Durante l’assedio di Siviglia, le fece erigere una cappella stabile nel suo accampamento, e rinunciando ad entrare per primo in detta città, dopo la sua vittoria sul campo, le cedette l’onore di aprire il corteo trionfale. Prima di morire, ordinò che deponessero il suo corpo ai suoi piedi. L’altra immagine che venerava è quella che amava chiamare la Vergine delle Battaglie, una preziosa statua in avorio, che portava con sé nei combattimenti, attaccata alle maniglie della sella del suo cavallo, per contare sulla sua protezione nella lotta contro i nemici di suo Figlio. La Vergine dei Re era per l’accampamento, e la Vergine delle Battaglie per il combattimento. Quella dei Re si trova oggi sull’altare della Cappella Reale, nella cattedrale di Siviglia, ai suoi piedi si conservano i resti del Santo. Quella delle Battaglie si trova al museo della Cattedrale.
Tra gli eremi costruiti da Ferdinando III e dedicati alla Vergine, quella alla quale dedicò più devozione fu quello di Nostra Signora di Valme, situato nella bellissima città di Dos Hermanas. Secondo la tradizione che, prima del decisivo attacco a Siviglia, il re di Castiglia e León manifestò la sua fede nella Vergine e verso una statua per la quale nutriva molta devozione, implorò: “Valedme (Valme, che significa “aiutami”), Signora, in questa impresa che compio in nome di Dio e a gloria vostra. Io vi offro in questo luogo il primo vessillo nemico che sventola su Siviglia”.
In effetti, il re cristiano conquistò Siviglia e, mantenendo la sua promessa, sulla sommità del Cerro (o Cortijo) Cuarto [una collina n.d.T.], detto anche Buenavista, fece costruire una cappella, in stile “mudéjar” [stile dell’arte spagnola sviluppatosi subito dopo la fine della dominazione musulmana n.d.T.], nella quale collocò l’immagine della Vergine che, in ricordo della accorata invocazione del re, fu detta di Valme. Ai suoi piedi collocò lo stendardo del re moro di Siviglia, attualmente è conservato nella Parrocchia di Santa Maria Maddalena di Dos Hermanos.
Morte umile
La morte di Ferdinando è stata un’ulteriore dimostrazione di santità. Avendo conquistato Siviglia, progettava di dirigersi verso le coste del Nord Africa per battere il nemico in ritirata e sconfiggerli nel loro stesso regno.
Ma una terribile malattia, l’idropisia, lo colse mentre soggiornava presso l’Alcazar di Siviglia. [palazzo reale a Siviglia, n.d.T.]
Aveva solo cinquant’anni, ma il suo corpo era provato dalle tante preoccupazioni e dalle tante battaglie. Aveva regnato trentacinque anni in Castiglia e ventidue nel León, dei quali quasi trenta in battaglia. Quando sentì di stare davvero molto male, capendo che era giunta l’ora della sua morte, gli amministrarono il Santo Viatico, e quando udì il suo della campana, fece un profondo atto di umiltà: si alzò dal letto, si mise in ginocchio, e tenendo tra le mani un crocifisso, lo baciò ripetutamente, e se lo pose con una corda al collo; in seguito, ripercorrendo i passi della passione di Cristo, lodò la misericordia e la pietà del suo Signore, e si accusò di avervi mal corrisposto e di avere grandi colpe, poi proclamò a sua fece e ricevette il santo sacramento. Quindi fece togliere dalla sua camera tutte le insegne regali, volendo dimostrare con questo che non c’è altro re se non Gesù Cristo, o che nella morte gli uomini sono tutti uguali, i re e i sudditi, i grandi e i piccoli, i ricchi e i poveri, poiché tutti muoiono nudi proprio come sono nati.
Dopo aver reso grazie al Signore perché lo aveva visitato nel sacramento, chiamò la regina Giovanna e i suoi figli, e si congedò con tenerezza da ciascuno di essi. In particolare si rivolse al principe ereditario, per esortarlo a compiere i suoi doveri, tanto quelli generali del regno come quelli particolari della sua persona, il timore di Dio, la protezione di sua madre e dei suoi figli, il rispetto per gli ecclesiastici, la stima per i nobili, la protezione dei bisognosi, l’amministrazione della giustizia, la misericordia con i poveri, il culto divino, la propagazione della fede, concludendo i suoi consigli con queste parole: “Ti lascio tutte le terre che possedevano i mori dal mare fino a qui. Tutto resta sotto il tuo dominio, la parte conquistata e la parte ereditata. Se le conserverai così come te le affido, sarai un re buono come me; se ne guadagnerai di più, sarai un re migliore di me; se le perderai, non sarai un re buono come me”.
Pregò poi che gli ponessero una candela accesa nella mano, e levando gli occhi al cielo disse: “Signore, mi hai dato regno, onore e potere senza meriti. Tutte quello che mi hai dato te lo rendo, e ti chiedo, nel consegnarti la mia anima, che con essa le usi divina misericordia”: Quindi si rivolse ai presenti e li pregò umilmente che se ad avesse offeso qualcuno in qualcosa, lo perdonassero. Chiese poi ai sacerdoti di intonare le litanie dei santi e il Te Deum e al secondo verso di questo inno, chiuse tranquillamente gli occhi per sempre. Era il 30 maggio del 1252.
La notizia della morte del re santo si diffuse in tutto il mondo, e tanto il Papa quanto i re e i principi cristiani ne rimasero costernati.
Anche gli infedeli mostrarono il loro dolore. Alhamar, re di Granada, nell’apprendere la cosa, chiese di fare nel suo regno grandi dimostrazioni di cordoglio, ed inviò cento nobili mori, riccamente vestiti e con in mano una candela bianca per assistere alle sue esequie.
Tale fu la vita esteriore e la morte santa del più grande dei re di Castiglia, che fu chiamato “Atleta di Cristo” da Papa Gregorio IX e Innocenzo IV gli diede il titolo di “Campione Invitto di Gesù Cristo”. “Della vita interiore” dicono Menéndez e Pelay, “chi potrebbe parlare degnamente se non gli angeli, che furono testimoni dei suoi colloqui spirituali e di quelle estasi che tante volte precedettero e annunciarono le sue vittorie?
Per questo non sorprende che, per il suo primo sepolcro con filiale tenerezza l’infante Don Alfonso ordinò di incidere, sui suoi quattro lati, in ebraico, arabo, latino e castigliano, uno degli epitaffi più belli del intero patrimonio epigrafico universale: “Qui giace l’onoratissimo Re Ferdinando, Signore di Castiglia e di Tolendo, di León e di Galizia, di Siviglia, di Cordoba, di Murcia, di Jaèn, colui che conquistò tutta la Spagna, il più leale, il più vero, il più franco, il più forte, il più gentile, il più illustre, il più indulgente, il più umile, colui che temeva grandemente Dio, al quale grandemente prestò servizio, colui che annientò e distrusse tutti i suoi nemici, colui che innalzò ed onorò tutti i suoi amici e conquistò la città di Siviglia, capitale di tutta la Spagna”.
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