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Enciclica "Fratelli Tutti"

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Lettera Apostolica

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  • Gesù disse Ai suoi discepoli: «Se uno mi ama osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà…» Giovanni 14,23

    26052019Gesù parla ai discepoli di un suo andare al Padre. Egli va per aprire la via, va a preparare un posto ai discepoli nella casa del Padre. Il Padre è il termine ultimo della sua missione. Al tempo stesso assicura ai discepoli una sua presenza costante accanto a loro e il dono del Paraclito. In questa reciproca immanenza viene superata ogni distanza tra Dio e gli uomini. Il tempo della Chiesa è il tempo dello Spirito, che insegna a ricordare: una memoria essenziale per vivere la presenza di Dio e non costringerlo ad una assenza, il grande rischio del nostro tempo.

    Il vangelo ci affida la promessa dello Spirito: l’ascolto della parola di Gesù è condizione per accogliere la presenza del Padre e del Figlio nella nostra storia, ma per ascoltare e comprendere questa parola occorre l’azione in noi dello Spirito.

    In questo orizzonte ci pone anche la prima lettura, che narra di un conflitto vissuto nella Chiesa delle origini: veniamo così invitati a non temere i conflitti, ma ad affrontarli lasciandoci guidare dallo Spirito.

    La seconda lettura ci offre una immagine della città celeste, nella quale può rispecchiarsi la città terrena, comunità peccatrice e in cammino. La Chiesa potrà risplendere, come la città santa celeste, della ‘gloria’ di Dio se sarà capace di testimoniare nel mondo la novità della risurrezione.

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  • «vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri…» Gv 13,34

    19052019Come testamento e come impegno per i discepoli Gesù ha lasciato il comandamento dell’amore: «Che vi amiate gli uni gli altri come io ho mato voi». È la strada per costruire con Dio un mondo nuovo, una umanità nuova. La novità va intesa in senso qualitativo: indica la via della salvezza possibile, ciò che è essenziale sulla terra per trovare salvezza. La novità sta nel nuovo modo di amare, mostrato e reso  possibile dall’amore inedito di Gesù stesso. Il “come” del comandamento non crea però un paragone, ma indica l’origine di questo amore, il suo fondamento: occorre radicarsi in questo amore per rendere nuovo il nostro mondo. Questa speranza è chiaramente espressa nel vangelo: Gesù non vuole essere solamente un modello per noi, ma egli si propone come il fondamento stabile di una comunità fraterna: l’amore con cui egli ci ha amati può diventare nostro se lo accogliamo non come esigenza morale, ma come dono da vivere. La prima lettura è centrata sul primo viaggio missionario di Paolo e Barnaba: il loro itinerario si trasforma in una visita pastorale alle comunità cristiane, per consolidare la fede dei nuovi discepoli e dare loro speranza. Anche nella seconda lettura incontriamo un messaggio di speranza e di fiducia.

    La storia umana, per quanto le sue vicende siano travagliate, non è destinata al fallimento, ma ad una nuova creazione.

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  • «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono» Gv 10,27

    12052019Identificandosi con il “pastore” preannunciato dal profeta Ezechiele e atteso dal messianismo ebraico, Gesù afferma di essere lui il pastore promesso, che in nome di Dio ha il compito di prendersi cura personalmente del suo popolo. E descrive, a interlocutori forse increduli come siamo spesso anche noi oggi, ciò che egli ha in serbo per le sue pecore, ossia per tutti coloro che ascolteranno la sua voce e accetteranno di seguirne le tracce. Il fatto di appartenere al pastore e di seguirlo diventa il presupposto per vivere con lui una straordinaria familiarità: siamo liberi e al sicuro, proprio perché il Pastore che ci guida ci conosce e dona la sua vita per noi.

    La condizione della nostra sicurezza e salvezza sta nell’essere nelle mani del Padre: nel vangelo, infatti, Gesù assicura che tutte le sue ‘pecore’ gli sono affidate dal Padre. L’immagine delle mani indica la strada della vera fede cristiana: vivere la comunione con Dio non è questione di prestazioni, ma piuttosto di lasciarsi guidare da lui. La prima lettura racconta come la parola di Dio si diffonda tra le genti.

    Anche in questo la mano di Dio si rivela più forte delle difficoltà, perché in grado di volgere ogni circostanza, anche sfavorevole, in opportunità di crescita. La seconda lettura riprende il tema della liturgia celeste, e promette ai discepoli di Gesù che «L’Agnello che sta in mezzo al trono sarà loro pastore e li guiderà alle fonti delle acque della vita»

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  • «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra… (Mt 28,18)

    27052018In quanto cristiani siamo stati battezzati «nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo», ossia siamo stati “immersi” nel mistero di comunione che Dio è. Questo mistero non è una conquista dell’intelletto umano, una teoria frutto di elaborazione astratta, ma è il centro della rivelazione che Gesù, il Figlio, ci ha donato. La vita e la parola di Gesù ci mostrano un Padre vicino all’umanità, che ci fa dono del suo Spirito, attraverso il quale possiamo diventare una comunità che vive del suo amore.
    Le nostre relazioni, nella fede, ci costruiscono dunque come “popolo di Dio”, attraverso la presenza reale del Figlio in mezzo a noi e sotto la guida continua dello Spirito. Questo è il senso profondo della celebrazione del mistero della “Trinità”!
    Nel vangelo, congedandosi dai suoi discepoli, Gesù li rassicura: «Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo», ma allo stesso tempo li invia nel mondo a «fare discepoli tutti i popoli», battezzandoli «nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo». L’umanità tutta è in tal modo chiamata a partecipare alla natura di Dio, che è comunione d’amore.
    La prima lettura promette profeticamente l’esperienza della presenza di Dio nel suo popolo, dando così inizio ad una storia che troverà la sua pienezza e apertura universale nella rivelazione di Gesù e nel dono del suo Spirito.
    Nella seconda lettura lo Spirito Santo, presenza invisibile nel mondo e nel cuore delle persone, è professato come la forza che ci permette di rivolgerci a Dio chiamandolo «Abbà! Padre!», di riconoscerci suoi figli e coeredi di Cristo.

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  • …la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua. (Atti 2,5)

    20052018Le letture di oggi ci chiedono di riscoprire lo Spirito Santo, questa presenza silenziosa e nascosta, questo sussurro di Dio che abita in noi e conduce la storia verso il suo compimento. La prima lettura presenta l’icona della Pentecoste dipinta dall’evangelista Luca. Il «battesimo nello Spirito e fuoco» profetizzato da Giovanni (Lc 3,16) e promesso da Gesù (At 1,5), finalmente accade: «…tutti furono colmati di Spirito Santo» (At 2,4). La seconda lettura concretizza per noi l’icona lucana. Se «viviamo nello Spirito» dobbiamo «camminare nello Spirito» (Gal 5,16), per pro- durre i frutti di vita che testimoniano la presenza dello Spirito in noi. Il punto d’arrivo è la piena partecipazione alla vita del Crocifisso-Risorto. Il vangelo approfondisce l’esperienza della Pentecoste attraverso la catechesi di Giovanni sullo Spirito: egli è il Paracleto, avvocato e consolatore, testimone del Cristo e forza che trasforma i discepoli in apostoli.

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  • Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo… (Mc 16,19)

    13052018L’Ascensione è una festa strana, dove nostalgia ed esultanza si mescolano insieme. È una conclusione ed un inizio: termina la sequela fisica di Gesù ed inizia la nostra storia, l’intervallo di tempo in cui il Risorto scompare agli occhi dei suoi, per iniziare con loro un tipo diverso di rapporto. È un momento di transito in cui i discepoli sono chiamati ad abbandonare la sponda familiare dei modi di presenza per una terra sconosciuta. È il tempo della maturità e della responsabilità. Gesù non cammina più con i discepoli; non determina le loro scelte momento per momento; non indica dove, come, quando… Promette soltanto la presenza dello Spirito: «Avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra» (At 1,11).
    La festa che celebriamo è dunque la festa della “vita adulta”: Dio si fida di noi, Dio si affida a noi perché il Vangelo raggiunga gli estremi confini della terra ed ogni persona sia immersa nell’annuncio che salva.

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  • Gesù fu elevato in alto euna nube lo sottrasse ai loro occhi. Atti degli Apostoli 1,9

    28052017La metafora di Gesù «che siede alla destra di Dio» rivela il senso della solennità liturgica dell’Ascensione al cielo.
    Il suo sottrarsi agli occhi del corpo non equivale al venir meno della sua presenza, all’eclissarsi dalla vita dei credenti.
    Allude piuttosto al nuovo modo di presenza e al significato profondo del suo mistero: Gesù può essere ora riconosciuto come il Figlio, colui che condivide la “gloria” del Padre, che continua a irraggiare su di noi la bellezza di Dio. Per questo può essere chiamato “Signore” e professato «della stessa sostanza del Padre», come formulerà il Credo della Chiesa.
    L’ascensione di Gesù è fondamento della nostra speranza e risposta alla nostra attesa: «… questo Gesù che è stato assunto di tra voi fino al cielo tornerà un giorno allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo!».
    Il mandato che Gesù lascia ai suoi è riassunto dal vangelo: si tratta ora di annunciare lui a tutti i popoli. La comunità cristiana è impegnata, da questo momento, nella missione alle genti.
    Perciò caratteristica dei cristiani non è lo stare fermi, ma dopo essere stati all’ascolto della sua parola, rimettersi sempre in movimento per testimoniare che nella storia dell’uomo è sempre in azione Dio.
    Per tale cammino di annuncio e testimonianza ci è promesso lo Spirito Santo. Questo ci assicura la prima lettura, che esorta anche a mantenere viva l’attesa del ritorno del Risorto.
    Animato da questa fiducia Paolo, nella seconda lettura, prega affinché attraverso lo Spirito i credenti possano riconoscere la potenza di Dio rivelata in Cristo.

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  • «Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me» Gv 10,3

    14052017Ai discepoli turbati a causa dell’annuncio, da parte di Gesù, della sua “partenza”, egli affida una direttiva chiara, li invita a superare la paura mediante la fede: «abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me».
    Questa incondizionata fiducia è fondata sulla certezza che egli sarà per loro «via, verità e vita» in ogni situazione, una promessa che ha lo scopo di stimolare i credenti alla lotta contro ogni forma di male e di ingiustizia.
    Infatti, espressione decisa di questo “credere” sarà l’amore reciproco dei discepoli, una forza che può trasformare le relazioni umane e aiutare nel superare tensioni e difficoltà.
    La sequela di Gesù diventa così il luogo della sua reale presenza nella vita dei credenti e nel mondo.
    Nel vangelo che oggi ascoltiamo ci è indicato il criterio di riferimento per ogni azione e scelta caratterizzante la comunità cristiana: la via di Gesù, che permette di superare conflitti e paure, è la via dell’amore, amore che si dona, che si diffonde, che contagia, che mostra la verità in grado di illuminare l’esistenza e di riempire la vita di senso.
    Entro questo orizzonte di fiducia la prima lettura mostra l’esempio di come la prima comunità cristiana di Gerusalemme, di fronte a tensioni e a difficoltà insorte, diventa capace di scelte coerenti con la sua fede e di una organizzazione interna rispondente alla sfida che la realtà le pone.
    A sua volta la seconda lettura conferma i cristiani nella identità di persone che hanno fondato la loro esistenza sulla pietra «scelta e preziosa davanti a Dio» che Gesù rappresenta.».

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  • Egli chiama le sue pecore ciascuna per nome e le conduce fuori Gv 10,3

    07052017L’immagine del pastore richiama l’esperienza di una relazione stretta tra chi ha il compito di guidare e custodire, da una parte, e chi si sente protetto e difeso, dall’altra.
    È un’immagine biblica, desunta dalla vita pastorale, per indicare la sollecitudine e la cura di Dio nei confronti del “suo popolo”, fatta propria da Gesù per indicare la sua relazione nei confronti di chi avrebbe accettato di seguirlo.
    Nell’esperienza cristiana, dunque, questa immagine parla della fede, come dono e come compito: la sequela di Gesù non è un passatempo o una moda, ma un cammino nel quale ci si lascia guidare e proteggere e, allo stesso tempo, si è disponibili ad una relazione di fiducia che crea impegno e responsabilità.
    Gesù si presenta nel vangelo come la “porta” del recinto dove egli ci custodisce e dove è possibile “ascoltare la sua voce” e seguire la sua guida.
    Egli chiama per nome ognuno che crede in lui e cammina davanti a chi lo segue. Il contrasto tra chi è pastore e chi, invece, è estraneo è decisivo per indicare lo stile di relazione che deve caratterizzare la fede in Gesù.
    Questo messaggio trova riscontro anche nella prima lettura, dove Gesù è presentato da Pietro come colui che Dio ha costituito come Signore e Cristo, ossia come inviato per realizzare il suo piano di salvezza nei confronti dell’umanità.
    In questo senso, allora, possiamo accogliere fiduciosamente l’esortazione conclusiva della seconda lettura: «Eravate erranti come pecore, ma ora siete stati ricondotti al pastore e custode delle vostre anime».

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  • Gesù prese i pani... recitò la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli... (Lc 9,16)

    29052016La comunione di mensa è un evento umano così carico di significati che Gesù lo fa proprio per rivelare la stessa volontà di Dio di riconciliare a sé l’umanità: «prendete e mangiate, questo è il mio corpo» – «prendete e bevete, questo è il mio sangue». Queste parole di Gesù, nella sua ultima cena con i discepoli, ci mettono davanti al dono totale e irreversibile della sua persona per creare comunione tra Dio, il Padre, e gli uomini, affinché questi vivano del suo stesso Spirito. La festa del mistero eucaristico, perciò, ripropone ogni volta l’alleanza che Dio per primo ha voluto con l’umanità e apre in continuazione a noi la possibilità di partecipare in modo attivo alla costruzione di una storia in cui Dio, attraverso Gesù Cristo e nel suo Spirito, è sempre realmente presente.
    Il vangelo racconta di una folla che cerca Gesù e viene da lui nutrita in modo straordinario: il segno dei pani condivisi, moltiplicati e distribuiti diventa anticipazione profetica del dono che Gesù farà e continua a fare del suo “corpo”. Il racconto è sempre stato inteso come una immagine dell’eucaristia. Anche oggi, la preoccupazione per la fame (materiale e spirituale) che tormenta tanta parte dell’umanità può trovare nell’eucaristia cristiana la forza per un continuo impegno nel creare le condizioni per il regno di Dio.
    Anche la figura di Melchisedek, al centro della prima lettura, parla a noi di pace, condivisione e benedizione: apre dunque una prospettiva di mediazione in grado di comporre le diversità e i conflitti sempre presenti nella storia umana, un ruolo oggi affidato ad ogni discepolo di Cristo che voglia esercitare in maniera autentica il sacerdozio dei fedeli a cui abilita il battesimo.
    E questo proprio nella fedeltà al Cristo che, come attesta la seconda lettura, è l’autentico mediatore attraverso cui Dio continua a riconciliare a sé il mondo, mediazione di cui ogni eucaristia è memoria attualizzante.

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  • Gloria al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo

    15052016Gesù ci svela che Dio è Trinità, cioè comunione. Ci dice che se noi vediamo “da fuori” che Dio è unico, in realtà questa unità è frutto della comunione del Padre col Figlio nello Spirito Santo. Talmente uniti da essere uno, talmente orientati l’uno verso l’altro da essere totalmente uniti.
    Dio non è solitudine, immutabile e asettica perfezione, ma è comunione, festa, famiglia, amore, tensione dell’uno verso l’altro. Solo Gesù poteva farci accedere alla stanza interiore di Dio, solo Gesù poteva svelarci l’intima gioia, l’intimo tormento di Dio: la comunione. Una comunione piena, un dialogo talmente armonico, un dono di sé talmente realizzato, che noi, da fuori, vediamo un Dio unico.
    Dio è Trinità, relazione, danza, festa, armonia, passione, dono, cuore. Allora finalmente capisco l’inutile lezione di catechismo di quando, bambino, vedevo il parroco tracciare sulla lavagna l’addizione: 1+1+1=1 mentre disegnava un triangolo equilatero.
    Tenero. Sbagliava operazione. In verità 1x1x1=1. È proprio perché il Padre ama il Figlio che ama il Padre e questo amore è lo Spirito Santo, che noi, da fuori, vediamo un’unità assoluta. Se Dio è comunione, in lui siamo battezzati e a sua immagine siamo stati creati; ma, se questo è vero, le conseguenze sono enormi. La solitudine ci è insopportabile perché inconcepibile in una logica di comunione, perché siamo creati a immagine della danza. Se giochiamo la nostra vita da solitari non riusciremo mai a trovare la luce interiore perché ci allontaniamo dal progetto che Dio ha per noi.

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  • «Il Padre vi darà un altro Paraclito perché rimanga con voi per sempre» (Gv 14,16)

    15052016Gesù prega il Padre perché lo Spirito rimanga per sempre con i suoi, resti in modo stabile e non solo di passaggio nella storia della comunità dei discepoli.
    Viene promessa così l’assistenza divina in vista della missione da svolgere nel mondo. Lo Spirito “paraclito”, ossia avvocato e consolatore,
    rimane in intima comunione, da una parte, con i singoli, come principio, anima e guida della loro vita interiore e, dall’altra, con il gruppo, con il noi comunitario, impegnato nella costruzione di dinamiche ecclesiali. Così lo Spirito è all’origine sia della nostra individuale identità cristiana, sia della autenticità dei rapporti all’interno della comunità. Nel vangelo di Giovanni il dono dello Spirito tradurrà la parola di Gesù in gesti di comunione e di accoglienza, di servizio e di amicizia. Sarà colui che guida e che mantiene uniti, sarà il custode e il consolatore. Egli prolunga nel tempo l’energia innovativa della Pasqua, fa partecipare l’umanità alla gloria di Gesù.
    Tutta la prima lettura è pervasa da un senso di compimento: non esiste più l’egemonia di una sola lingua o tradizione, ma Dio può essere annunciato e compreso per vie differenti che da Gerusalemme portano a tutti i popoli della terra.
    Nella seconda lettura Paolo sottolinea un debito della comunità nei confronti dello Spirito e chiede una disponibilità maggiore verso la sua presenza e la sua azione.

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  • «Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo» (Lc 24,51)

    08052016La celebrazione liturgica ci parla di pienezza e ci prospetta il “compimento” della nostra esistenza in Cristo. Con le parole di Leone Magno: «L’ascensione del Cristo significa anche elevazione per noi, e là dove è giunta in anticipo la gloria del capo, è come un invito alla speranza del corpo: per questo dobbiamo giustamente esultare, e piamente ringraziando rallegrarci.
    Oggi non solo abbiamo ricevuto la conferma di possedere il paradiso, ma siamo penetrati con il Cristo nell’altezza dei cieli».
    Il vangelo ci comunica il significato fondamentale della festa: l’Ascensione ha il compito di riassumere tutto il senso della missione di Gesù. L’essere “portato su” è la risposta del Cielo al suo abbassamento e alla sua umiliazione nella povertà della terra.
    È la vittoria gloriosa della Pasqua e il vero compimento della salvezza.
    A partire dalla Pasqua di Gesù è resa percorribile e praticabile per il cristiano la via verso il santuario del cielo, ci dice la prima lettura.
    E la seconda lettura dice ai discepoli che è arrivato il momento di partire, sia per il loro Signore, sia per i suoi apostoli. Il cammino della missione sulla terra avrà come orizzonte il cielo a cui tendere.

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