Mailing List

Iscriviti alla nostra mailing list per ricevere una copia del "Lunario" ed essere aggiornato sulle nostre iniziative parrocchiali.

NEWS

Servizio Informazione Religiosa

Login

 

Enciclica "Fratelli Tutti"

VT IT ART 41673 enciclica laudato si

Lettera Apostolica

gzpZOUGNwv4a s4 m

LA NOSTRA PAGINA FACEBOOK

Filtro
  • «un povEro di nome Lazzaro, stava all a sua porta, coperto di piaghe…» Lc 16,20

    29092019Le tre letture odierne sono accomunate, pur con accenti diversi, dall’insegnamento sul corretto uso del denaro e della ricchezza.

    Se già nel vangelo di domenica scorsa Gesù aveva severamente ammonito che non si può servire Dio e mammona, ora ritorna sull’argomento con il racconto del ricco anonimo e del povero Lazzaro, con l’obiettivo di richiamare l’attenzione sulla gravità delle omissioni compiute nei confronti dei più poveri e, di conseguenza, sul dovere che ciascuno ha di soccorrere i deboli e gli indigenti.

    Del resto, tale urgenza era emersa in più passi della Scrittura, come riconosce Gesù stesso menzionando Mosè e i Profeti.

    Proprio uno di questi, Amos, ben otto secoli prima di Cristo aveva denunciato gli abusi perpetrati dalle classi dominanti nei confronti dei più deboli. Il «guai» del profeta mantiene ancora oggi la sua carica di minaccia, in una società troppo spesso ripiegata su se stessa, prigioniera del proprio egoismo e di interessi miopi e meschini.

    Per tale motivo san Paolo ricorda al discepolo Timoteo l’importanza di una buona testimonianza, fatta di giustizia, pietà, fede, carità, pazienza, mitezza, sul modello di Gesù, che da potente si è fatto servo e amico degli ultimi e dei più poveri. Duemila anni dopo la testimonianza di Gesù, di Paolo e di molti altri santi, il mondo ha ancora bisogno di uomini e donne che, prendendo sul serio la parola di Dio, abbiano il coraggio di sfidare le logiche egoistiche che dominano la società e si impegnino con coerenza per la costruzione della civiltà dell’amore prospettata dal Vangelo.

    {jcomments off}

  • «Fatevi degli amici con la ricchezza disonesta…» Lc 16,9

    22092019La parabola contenuta nella pericope evangelica ha come protagonista un amministratore furbo e disonesto. Molti rimangono sgomenti dinanzi a questa parabola, chiedendosi se era proprio necessario ricorrere ad un esempio così meschino e imbarazzante.

    Eppure, già la prima lettura ricorda a ciascuno di noi che non viviamo in un mondo idilliaco, ma dobbiamo quotidianamente fare i conti con l’egoismo e le fragilità degli uomini, in mezzo ai quali siamo invitati a dare la nostra buona testimonianza di fede.

    Gesù evidentemente non loda la disonestà dell’amministratore, ma la sua perspicacia. È come se dicesse: i figli di questo mondo – cioè coloro che non credono in Dio – si preoccupano per il loro domani mondano; perché voi non vi preoccupate con altrettanta serietà del domani che vi vedrà al cospetto di Dio? Perché i credenti spesso non pongono in atto le medesime strategie e astuzie per custodire e salvare la propria anima?

    Domande forti, che interpellano le generazioni di cristiani di ieri e di oggi, poiché tutti siamo tentati di fare affidamento sulla ricchezza, sul denaro e su tutto ciò che apparentemente sembra dare sicurezza, ma in realtà non è in grado di soddisfare la sete di eternità che ci portiamo dentro.

    Gesù dunque scuote le nostre coscienze, troppo spesso intorpidite e assuefatte ad uno stile di vita che di cristiano ha ben poco.

    San Paolo ci ricorda che, per mantenere alto il nostro tenore di vita, dobbiamo pregare incessantemente, non solo per i nostri interessi, ma anche per il mondo in cui viviamo, perché tutti possano condurre «una vita calma e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio». Del resto, se non c’è pace e se la dignità degli uomini non è rispettata, difficilmente il Vangelo potrà essere vissuto e annunciato agli uomini e alle donne di ogni tempo e di ogni luogo.

    {jcomments off}

  • «Chiunque vi darà un bicchiere d’acqua… non perderà la sua ricompensa» (Mc 9,41)
    30092018La relazione di fede non segue la logica del mondo, e false sono le nostre immagini di Dio quando ci conducono a volerlo assoggettare ai nostri bisogni o desideri. Il credente non può rinchiudere Dio nelle istituzioni o nelle forme di culto entro le quali pur esprime la sua fede. Dio è sommamente libero e la sua volontà non coincide con le nostre pretese, la sua azione di salvezza può arrivare a noi attraverso canali imprevedibili. Il suo Spirito soffia dove vuole e la sua iniziativa trascende ogni istituzione e ogni forma in cui si manifesta la fede stessa: la vera religiosità comporta il lasciare che Dio sia Dio! Nel vangelo Gesù propone ai suoi discepoli uno stile tollerante quando enuncia il principio: «Chi non è contro di noi, è per noi». Allo stesso tempo mette in guardia contro la tentazione di trovare sicurezza nei nostri schemi abituali ed esorta piuttosto a vivere la carità come accoglienza del diverso, evitando di essere inciampo ad altri con i nostri comportamenti. Sulla stessa lunghezza d’onda è il messaggio della prima lettura: i doni di Dio non sono vincolati a forme istituzionali, e nessuna istituzione umana può pretendere di avere il monopolio dello Spirito divino. E anche la seconda lettura aiuta a riflettere su tale atteggiamento, con la sua invettiva contro i “ricchi” che, accumulando grandi quantità di beni, rischiano di riporre soltanto in essi la propria sicurezza e di chiudere così il cuore a coloro che sono nel bisogno e che essi non aiutano.

    {jcomments off}

  • «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me» (Mc 9,37)
    23092018La contestazione più radicale ad una concezione del potere come dominio e sfruttamento degli altri è la vita stessa di Gesù. La ricerca dell’onore di Dio e del suo primato, che sta alla base della visione del “regno di Dio” da Gesù annunciato, è contraria alla ricerca di onori e primi posti: Gesù chiede di seguirlo nella sua missione di Servo, nella mitezza e umiltà di cuore, nell’aiuto ai poveri, nell’essere in mezzo a loro «come colui che serve». La chiesa, al vertice e alla base, trova qui delineata la sua missione nel mondo, ed anche la scala dei valori da proporre e da difendere. Il vangelo propone un cammino di fede non facile per i discepoli di Gesù: di fronte ad un insegnamento che parla di sofferenza, umiltà e servizio è più che comprensibile la loro inquietudine e la paura delle conseguenze. In effetti la fede cristiana vera esige coraggio: il coraggio innanzitutto della fiducia, che Gesù esemplifica oggi con l’immagine di un bambino che egli pone in mezzo a loro. Il contrasto tra l’agire del giusto e quello dell’empio, posto al centro della prima lettura, è profetico rispetto alla situazione di persecuzione che i veri cristiani incontrano nel mondo, dall’inizio ad oggi, ma è anche un invito a reagire nei confronti delle logiche mondane di dominio e di sopraffazione. Per una vita di giustizia nella pace la seconda lettura invita ad accogliere la sapienza che viene da Dio e che diventa guida per una “buona condotta”: anche questa divina sapienza contrasta la presunta saccenteria del mondo che intende difendere interessi e arbitri egoistici.

    {jcomments off}

  • Gesù domandava ai suoi discepoli: «Ma voi, chi dite che io sia?” (Mc 8,29)
    16092018La liturgia di oggi ci pone di fronte a Gesù «Messia sofferente», che fin dall’inizio e anche oggi rimane “follia” e “scandalo” per molti.
    Il “Cristo” del Calvario, nel quale soltanto tuttavia c’è salvezza, resta il grande mistero dell’esperienza cristiana.
    Questa sua “croce” però, paradossalmente, parla di amore e non di odio, e perciò parla anche a noi di speranza e non di disperazione. Il grande mistero della salvezza dell’umano e del mondo non passa attraverso la logica del potere di dominio e sfruttamento, ma attraverso il dono della vita: questo ha inteso Gesù con l’annuncio del “regno di Dio” in cui la storia del mondo va trasformata. Il vangelo, oggi annunciato, è centrato proprio sull’interrogativo che Gesù rivolge ai suoi primi discepoli: «E voi chi dite che io sia?». Non si tratta di una domanda retorica, ma di una provocazione ad un coinvolgimento personale e nello stesso senso interpella i cristiani di ogni tempo: alla luce della risurrezione non si arriva senza passare attraverso la croce. La croce evoca la figura profetica del Servo di Dio, oggi al centro della prima lettura.
    Questa figura parla di sofferenza e umiliazione, ma anche di una missione di “giustizia” che attraverso di lui Dio porta a compimento.
    Una giustizia-salvezza che la seconda lettura interpreta come somma espressione di amore. Alla realizzazione di questo amore che sa donarsi e donare vita attraverso opere concrete, e che non può mai essere disgiunto dalla fede, esorta tutta la lettera di Giacomo, dalla quale è tratto il testo proposto oggi dalla liturgia.

    {jcomments off}

  • «Lo prese in disparte… e con la saliva gli toccò la lingua» (Mc 7,33)
    09092018Ascoltare, nel linguaggio della Bibbia, non significa soltanto udire superficialmente, ma piuttosto “obbedire”, non nel senso di un subire o eseguire passivamente un volere altrui, quanto nel senso di riconoscere il primato di Dio nella nostra vita. Le immagini della Bibbia presentano spesso l’uomo (o addirittura il popolo) come chiuso alla parola di Dio, come sordo e muto, incapace di comprendere e di riconoscere la strada della vita che la Parola indica. Per questo l’iniziazione alla fede viene spesso intesa come una “guarigione”, che ridona vita e fa capaci di lode.
    Il vangelo racconta proprio la guarigione di un sordomuto: l’incontro con Gesù è descritto nella sua vitale concretezza di gesti fisici, come «imporgli la mano», «porre le dita negli orecchi», «toccare con la saliva la lingua». Sono gesti di liberazione, che generano una meravigliosa “apertura” di colui che viene guarito e
    lo rendono pieno di gioia e capace di lode.
    In questo modo il “miracolo” narrato nel vangelo rappresenta il compimento di quanto è profeticamente annunciato nella prima lettura, nella quale la presenza di Dio tra gli uomini è promessa e descritta in questi termini: aprire gli occhi ai ciechi e schiudere gli orecchi dei sordi, far saltare lo zoppo come un cervo e gridare di gioia la lingua del muto… In un analogo orizzonte di fede la seconda lettura, tratta dalla lettera di Giacomo, invita a riflettere sull’interrogativo: Dio non ha forse scelto i poveri nel mondo per farli ricchi con la fede ed eredi del regno che ha promesso a quelli che lo amano?
     

    {jcomments off}

  • domenica della bibbia1

    {jcomments on}

  • «Gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi…» Mt 20,16

    24092017La giustizia di Dio e la giustizia degli uomini non coincidono: il comportamento misericordioso di Dio può diventare un modello, ma risulta spesso difficile per noi e richiede un continuo lavorio su noi stessi per lasciare i nostri criteri e i nostri valori, e porsi nell’ottica della giustizia di Dio. Il primato della bontà di Dio non contrasta necessariamente con l’esigenza umana di giustizia, ma va oltre, e offre la sua “alleanza” non come un contratto basato sul principio del “do ut des”, ma piuttosto sulla gratuità dell’amore. L’alleanza, la comunione che Dio offre a noi, è grazia: essa però non ci lascia passivi, in una inerzia improduttiva, ma chiede di cambiare il cuore nelle nostre relazioni: questo è il senso del detto «così, gli ultimi saranno primi, e i primi, ultimi»! La parabola del vangelo narra di lavoratori chiamati a prestare la loro opera nella vigna a diverse ore del giorno. Alla fine della giornata, al momento della ricompensa, Gesù pone l’elemento “sorpresa”, immagine del “mistero” che il regno di Dio porta nel mondo: i criteri del regno di Dio non sono i criteri degli uomini e della
    loro giustizia. Questa logica divina della grazia è anticipata dal profeta, nella prima lettura: Dio non si lascia manipolare dall’uomo, non corrisponde alle immagini che l’uomo si forma di lui. Il mistero di Dio è accessibile solo nell’atteggiamento
    della fede, che è apertura e fiducia, attesa e invocazione, non pretesa di catturarlo. Nella seconda lettura Paolo testimonia alla comunità di Filippi che ciò che qualifica l’esistenza dei cristiani è l’appartenenza a Cristo, un rapporto che non può essere sconvolto neppure dalla morte. Per questo vale la pena lottare per il Vangelo e vivere nella gioia che la testimonianza di esso può dare.

    {jcomments off}

  • «Il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi…» Mt 18,23

    17092017Il dono della riconciliazione, attraverso il perdono chiesto e donato, viene da Dio e i cristiani possono essere nel mondo il segno visibile di tale possibilità di spezzare la catena dell’odio nei rapporti umani. Questa visione non è un sogno, ma richiede una seria consapevolezza: ossia, che la pace vera non può nascere da un pacifismo ideologico, per quante bandiere dispieghi nelle sue manifestazioni di piazza, ma può essere promossa e realizzata da autentici costruttori di pace, capaci di incontro, di accoglienza e di condivisione. Nella prima lettura è possibile ascoltare parole di saggezza: il saggio ricorda come l’ira porti a conflitti e divisioni. Chi perciò dà spazio alla collera non può che provocare ostilità e lotta, portando discordia anche tra persone pacifiche. Per questo il discepolo del saggio è invitato a non assecondare sentimenti di vendetta e a non cercare la rissa come soluzione dei problemi. La parabola del vangelo parla di un servo impietoso, immagine dell’uomo che Gesù invita a convertirsi: chi vuole seguire Gesù è chiamato a convertire la logica della vendetta in atteggiamento di perdono. Si tratta di una sfida valida per ogni tempo e attuale anche nel nostro: una provocazione impegnativa, ma che apre la strada a una possibilità creativa nella gestione delle relazioni. La seconda lettura ci offre il fondamento di questa prassi cristiana: la capacità di riconoscere la centralità di Cristo nella vita conduce il credente a non chiudersi su se stesso, ma a dare un’apertura continuamente nuova e innovativa alla sua esistenza.

    {jcomments off}

  • «Se qualcuno vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso…» Mt 16,24

    03092017Seguire Cristo comporta accettare la legge della Pasqua, legge di morte e risurrezione. Per far questo è necessario fidarsi di lui, mettere i nostri piedi nelle sue orme senza pretendere di capire sempre dove porta la strada che egli percorre. Spesso questa scelta chiederà di non conformarsi alla logica di questo mondo, potrà esigere di lasciare il modo di ragionare “secondo gli uomini” per imparare a ragionare “secondo Dio”. Occorre cercare dentro le nostre giornate le occasioni che non fanno vincere noi, ma fanno vincere l’amore.
    La prima lettura ci confronta con una “professione di fede” da parte del profeta Geremia: in essa si mescolano sofferenza e ripresa, attrazione per la parola di Dio e tentazione di fuggire per le conseguenze che la testimonianza comporta. Con la professione di fede messianica di Pietro il vangelo ci mette a confronto con l’identità di Gesù.
    Essa rappresenta una svolta decisiva per i discepoli di ogni tempo, poiché da qui inizia il cammino verso Gerusalemme e verso il mistero pasquale che qui avrà compimento.
    La seconda lettura delinea la sequela cristiana come vita nello Spirito: non è una fuga nell’astrazione, bensì l’esperienza della conformazione a Cristo, esperienza di vera libertà nell’offerta della propria esistenza.

    {jcomments off}

  • «C’era un uomo ricco che indossava vestiti di porpora… e un povero di nome Lazzaro» (Lc 16,19ss)

    25092016Il confronto tra povertà e ricchezza, insieme alla prospettiva della giustizia tra gli uomini, vengono proposti alla nostra riflessione anche dalla liturgia odierna. Proprio il vangelo, con il confronto tra il ricco che naviga nel lusso superfluo e il povero Lazzaro, ci mette di fronte all’abisso che separa e discrimina, che crea oppressione e emarginazione: di fronte a questa violenza la parola di Dio interpella le coscienze, inquieta e giudica.
    Non si può rimanere indifferenti, giustificando povertà e ricchezza come frutto di un caso cieco, o di inettitudine la povertà e di intelligenza la ricchezza. La denuncia profetica non colpisce i beni terreni in quanto tali, ma l’atteggiamento egoistico e idolatrico degli uomini: ogni bene terreno è mezzo e non il fine della vita. E come nella parabola evangelica, sarà proprio la morte a rovesciare la prospettiva.
    La parabola del ricco “epulone” narrata dal Vangelo non può legittimare atteggiamenti fatalistici o strutture economiche consolidate
    in cui i ricchi diventano sempre più ricchi a danno dei poveri resi sempre più poveri.
    Questa legittimazione sarebbe una caricatura del vangelo: qui un ricco egoista, intento a godersi i piaceri della vita, non riesce a vedere le sofferenze di chi giace alla sua porta. Gesù denuncia tale cecità e la chiusura a cui la ricchezza fatta idolo può portare.
    Allo stesso modo l’“orgia dei dissoluti”, di cui parla la prima lettura, rivela la non disponibilità ad accogliere la parola di Dio come criterio del vivere e porta in sé il giudizio di condanna: non c’è insulto maggiore alla condizione dei poveri del lusso sfrenato esibito dai ricchi.
    A sua volta Paolo, nella seconda lettura, oppone all’ideale di vita dei falsi cristiani il modello del vero discepolo di Cristo, esempio di quella fede di cui ha fatto professione e nella quale persevera anche in mezzo alle difficoltà.

    {jcomments off}

  • vol. gruppi di gesu page 001

  • «Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare» (Lc 16,1)

    18092016In una visione di fede vera, dove si afferma il primato di Dio, i profeti non hanno mai smesso di denunciare l’ipocrisia come comportamento che falsifica la relazione religiosa. Il vangelo della misericordia divina non annuncia una «grazia a buon mercato», ma un dono impegnativo: per il “ricco” accogliere tale annuncio vuol dire trasformare i beni da oggetto di egoismo individualistico a strumento di condivisione, in funzione di quella comunione che può crearsi attorno alla centralità di Dio nella vita. Questo è il significato dell’enigmatica espressione del vangelo: «Procuratevi amici con la disonesta ricchezza». La religiosità di chi è convinto ba- stino poche pratiche di culto per mettere la coscienza a posto e così comprare la benevolenza divina è contraria al vangelo di Gesù Cristo.
    Nel Vangelo la parabola dell’amministratore disonesto ci pone davanti all’esigenza radicale del regno di Dio annunciato da Gesù: sottrarsi alla schiavitù dei beni terreni, in particolare alla schiavitù del denaro, per creare una comunità di fratelli, in cui si riconosca l’uguaglianza in dignità e si pratichi la giustizia soprattutto verso i più deboli.
    Questa è la via evangelica per sconfiggere la mercificazione del “povero”, contro la quale si pronuncia con forza la prima lettura: Dio stesso, grida il profeta Amos, prende le difese dei poveri e non potrà dimenticare le opere di coloro che li calpestano.
    Tra le raccomandazioni che Paolo affida al discepolo Timoteo nella seconda lettura c’è quella della preghiera pubblica per tutti, senza esclusivismi: Dio, infatti, vuole che tutti siano salvati e giungano alla conoscenza della verità.

    {jcomments off}

  • «Quale donna se ha dieci monete e ne perde una, non cerca finché non la trova?» (Lc 15,8)

    11092016Gesù ci ha rivelato un Dio dalle braccia aperte: un Dio che è amore e misericordia, dimensioni che la nostra società, nella sua confusione di valori, sembra sottovalutare o sostituire con differenti surrogati, ma che rimangono esperienze di cui essa ha grande e vitale bisogno. Sentirci amati singolarmente, in modo incondizionato, è l’esperienza che nessun progresso tecnologico né le conoscenze scientifiche e neppure l’economia del superfluo possono dare. Se riusciamo ad accorgerci che Dio ci ama in questo modo, allora forse potremo anche avvertire che la lontananza da lui e l’indifferenza verso gli altri che ne deriva significano perdere il nostro tempo, perdere veramente la nostra vita.
    Le parabole che costituiscono il Vangelo oggi, se ascoltate col cuore e riferite attivamente alla nostra esistenza, potrebbero produrre una vera conversione: la casa di Dio è per noi uno spazio sicuro e salvifico, in essa possiamo ritrovare un Padre accogliente e noi stessi. Esse sono allo stesso tempo un corale invito alla gioia, una testimonianza che Dio vuole solo il nostro bene e non pone limiti alla sua pazienza e alla sua sollecitudine nei nostri confronti.
    Questa prospettiva è già presente nella prima lettura: di fronte a un popolo “dalla dura cervice” Mosè fa appello alla fedeltà di Dio per ottenere da lui il perdono per la sua gente infedele. Possiamo cogliere questa fiducia anche nella testimonianza della seconda lettura: Paolo parla della misericordia di Dio nei suoi riguardi, nella ferma convinzione che Dio guidi la storia degli uomini verso la meta da lui voluta. La sua parola è per lui sicura e degna di fede.

    {jcomments off}

  • «Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa…?» (Lc 14,28)

    04092016L’educazione alla fede comporta formazione di personalità mature, capaci di scelte, di responsabilità e anche di rinunce. È una crescita integrale attraverso esperienze e relazioni che portino al dono di sé, alla reciprocità nell’amore che si apre alla vita in tutte le sue forme.
    Su questa base è possibile vivere anche l’amore di Dio, accolto e ricambiato, attraverso la costruzione di comunità autentiche: questo può essere il significato dell’evangelico “prendere la propria croce” alla sequela di Gesù. Non dunque una fede come insieme di prestazioni religiose, non una fede di convenienza e di convenzioni sociali, ma assai più come risposta personale ad un amore ricevuto e corrispondenza ad una chiamata.
    Per accogliere il regno di Dio in noi e collaborare alla sua costruzione nel nostro mondo è necessario, secondo il Vangelo, rispondere alla chiamata di Gesù. Diventare suoi discepoli non significa solo condividere idee, ma soprattutto disponibilità a seguirne il destino.
    Nella parabola del banchetto sono presentate anche le difficoltà di tale scelta.
    Chi può conoscere la volontà di Dio su di noi? Per la prima lettura solo la sua Sapienza può esserci guida nel conoscere il volere divino e luce e forza per compierlo. Sapienza che possiamo chiedere nella preghiera e accogliere nella fede.
    Esempio concreto di sapienza cristiana conforme al volere di Dio è, nella seconda lettura, il comportamento che Paolo suggerisce al discepolo Filemone nel rinviargli lo schiavo Onesimo che da lui era fuggito: occasione per ribadire che la vera dignità della persona è quella che essa ha agli occhi di Dio.

    {jcomments off}

  • opere misericordia 25 sett

    {jcomments on}


  • Sono aperte le iscrizioni
    all'anno catechistico 2015-2016
     
    ore 16:00 - 20:30

    {jcomments off}
  • Man Oratorio

Calendario degli Eventi

Lun Mar Mer Gio Ven Sab Dom
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
16
17
18
19
20
21
22
23
24
25
26
27
28
29
30

Agenda Eventi

Non ci sono eventi per i prossimi giorni

Visitatori

331311
OggiOggi53
IeriIeri94
Questa SettimanaQuesta Settimana336
Questo MeseQuesto Mese2298
Totale VisiteTotale Visite3313117

Abbiamo 82 visitatori e nessun utente online

Parrocchia San Ferdinando Re (Chiesa Matrice) - Via della Speranza, 2 - 76017 San Ferdinando di Puglia (BT)

Tel. 0883 621037 - sanferdinandore@libero.it

Copyright © 2024 - Tutti i Diritti Riservati.