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Enciclica "Fratelli Tutti"

VT IT ART 41673 enciclica laudato si

Lettera Apostolica

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  • «Il fariseo… il pubblicano si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”» Lc 18,13

    27102019Probabilmente a molti sarà capitato, almeno una volta nella vita, di ritenere che se tutti la pensassero come noi il mondo sarebbe migliore. Magari abbiamo anche avuto l’ardire di dare a Dio qualche suggerimento su come condurre il corso della storia e gli eventi che costellano la nostra esistenza.

    Spesso, poi, esprimiamo giudizi impietosi verso gli altri, senza nemmeno conoscere veramente cosa abita nel loro cuore. Gesù biasima tali atteggiamenti. Se davvero vogliamo presentarci al cospetto di Dio, dobbiamo farlo con l’umiltà del pubblicano, di chi cioè è perfettamente consapevole di avere bisogno di Dio e della sua misericordia. La prima lettura ricorda che Dio ascolta la preghiera dell’umile e del povero. L’insistenza della Scrittura sulla cura che va riservata ai miseri può dare ad un certo punto fastidio. Se proviamo tale sentimento, dobbiamo stare attenti, perché forse significa che non siamo davvero dalla parte dei poveri, magari perché ci sentiamo anche noi come il fariseo, convinti della nostra bontà e dei nostri meriti.

    Gesù dice che il pubblicano andò a casa giustificato, cioè con il cuore colmo dell’amore di Dio, a differenza del fariseo. Viene da dire: meno male che Dio ama in questo modo! Dio non guarda la forza, la potenza, i meriti, ma scruta in profondità il cuore dell’uomo.

    Ne è perfettamente consapevole san Paolo quando, ormai ridotto in catene, impotente davanti ai potenti di questo mondo, abbandonato persino dagli amici, davanti alla morte riesce a dire: «Il Signore però mi è stato vicino e mi ha dato forza, perché io potessi portare a compimento l’annuncio del Vangelo». È il Vangelo che salva, non certo i nostri presunti meriti.

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  • «Una vedova diceva al giudice disonesto: “Fammi giustizia contro il mio avversario» Lc 18,3

    20102019Cosa significa pregare? Come dobbiamo pregare? Dio ascolta le nostre preghiere? Se sì, perché talvolta abbiamo l’impressione che la sua risposta tardi ad arrivare? Tali interrogativi ci introducono al tema proposto dalle letture di questa domenica.

    Nella prima lettura Mosè, che rimane pazientemente davanti a Dio con le mani alzate per impetrare la vittoria del popolo di Israele nella guerra contro gli amaleciti, illustra l’efficacia della preghiera.

    Nella lettera a Timoteo Paolo esorta il discepolo – e con lui tutti i responsabili della comunità cristiana – affinché annuncino con passione in ogni tempo e in ogni circostanza la parola di Dio, che ha in sé l’efficacia per la salvezza.

    Infine, nella pericope evangelica, la parabola del giudice disonesto e della vedova torna sul tema della preghiera perseverante e fiduciosa, cosicché i discepoli di Gesù imparino a pregare incessantemente, senza stancarsi o scoraggiarsi dinanzi alle difficoltà della vita.

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  • «Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?» Lc 17,18

    13102019Il tema che come un filo rosso percorre le tre letture dell’odierna liturgia della Parola è la gratitudine nei confronti di Dio per i suoi innumerevoli benefici. In modo particolare la prima lettura e il vangelo hanno come protagonisti due uomini stranieri che vengono miracolosamente guariti dalla lebbra. La lebbra è sempre considerata nella Bibbia come un castigo provocato dal peccato, per cui la guarigione viene intesa come espressione della ritrovata comunione con Dio.

    Ciò che colpisce dei due miracoli è che la guarigione viene accordata a due stranieri certamente non in piena sintonia con i canoni della Legge ebraica. L’evangelista Luca dà molta importanza all’origine straniera del lebbroso, per mostrare che la volontà salvifica che Dio ha manifestato in Gesù raggiunge tutti gli uomini, senza distinzione di religione o di razza.

    Da tali esperienze di grazia scaturisce la gratitudine che pervade il cuore di chi, come Naaman e il samaritano, sperimenta nella propria vita la grandezza dell’amore misericordioso che Dio ha rivelato all’uomo mediante la vita, morte e risurrezione di Gesù, come ben ricorda la seconda lettura.

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  • «Quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato dite: “Siamo servi inutili”» Lc 17,10

    06102019L’odierna liturgia della Parola sollecita i credenti a riscoprire il valore della gratuità, perché ciascuno, secondo la personale vocazione, viva amando autenticamente Dio e il prossimo, seguendo l’insegnamento di Gesù e obbedendo docilmente alla volontà del Padre (vangelo).

    Così, se da un lato l’obbedienza non impedisce di rivolgere a Dio suppliche e domande (prima lettura), dall’altro lato essa richiede di essere pazienti e fiduciosi. Dall’attesa obbediente scaturisce il dovere della perseveranza, soprattutto nei momenti in cui si è tentati, o per comodità o a motivo dell’innata fragilità umana, di abbandonare la via di Dio e di cedere allo sconforto.

    È altrettanto importante ricordare che nella fatica del cammino i discepoli di Gesù sono costantemente sostenuti dall’azione vivificante e corroborante dello Spirito, cosicché a ciascuno è data la possibilità di giungere felicemente alla mèta prefissata da Dio (seconda lettura).

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  • «Bartimeo che era cieco, sentendo passare gesù, cominciò a gridare» (Mc 10,47)
    28102018In quanto credenti siamo sempre come il cieco del quale narra il vangelo di questa domenica, possiamo gridare «Gesù, abbi pietà di noi» e “Che io riabbia la vista!” Anche per noi, infatti, il credere non è un atto scontato, ma è piuttosto un cammino impegnativo che richiede sempre orientamento e scelte, ha bisogno di luce e di sostegno.
    Anche per noi è sempre necessario che Gesù “passi di là”, ossia si manifesti nella nostra quotidianità, così che lo si possa incontrare: una manifestazione che rimane misteriosa ed esige la nostra attenzione e apertura di cuore e mente.
    Il vangelo è costruito su un dialogo tra il cieco e Gesù. Il cieco, che non vede Gesù ma ne intuisce la presenza da quanto accade attorno a lui, ha il coraggio di gridare a lui la sua sofferenza. Il segno operato da Gesù richiama questo bisogno di aiuto e di luce. La conclusione è illuminante anche per noi: «subito riacquistò la vista e prese a seguirlo per la strada».
    La prima lettura descrive la gioia del ritorno in patria degli esuli. Geremia presenta il ritorno come opera di Dio: esso è figura e, per così dire, un anticipo della salvezza promessa da Dio al piccolo resto che gli è rimasto fedele.
    Nella seconda lettura l’autore della lettera agli Ebrei presenta Cristo come guida e luce dei cristiani. Egli è ora il mediatore della salvezza e in questo consiste il suo ruolo sacerdotale: egli rivela il volto di Dio a chi lo cerca.

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  • «Chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore» (Mc 10,43)
    21102018Gesù ha posto tutto se stesso a servizio degli uomini, ha dato la sua vita per noi. Questo annuncio radicato essenzialmente nel vangelo cristiano è difficile da comprendere: come possono la sofferenza e la morte salvare? La risposta, non facile da tradurre in concetti e parole, è però intuibile: tutta la vita di Gesù, gesti e parole, fino alla morte è stata un continuo atto di amore.
    E l’amore non può finire nel nulla: questa è la base anche per comprendere l’annuncio della risurrezione e la speranza di condividerla con chi ci ha tanto amato.
    Nel vangelo Gesù propone, oggi come allora, lo stesso messaggio: chi vuole essere “primo” nella comunità dei discepoli deve imparare a servire e a dare la propria vita. La prospettiva del servizio sostituisce quella del potere o, meglio, esprime il vero potere affidato ai discepoli. La prima lettura anticipa con la figura profetica del “servo sofferente” la vita e la missione di Gesù: Dio si compiace nel suo servo, che offre la sua vita per il popolo, segno di un amore forte e deciso, che salva. La lettera agli Ebrei, nella seconda lettura, riprende questa prospettiva e invita i cristiani ad «accostarsi con fiducia al trono della grazia» poiché Gesù mantiene anche nell’oggi la sua offerta di salvezza per tutti coloro che aprono il cuore alla sua misericordia.

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  • «quanto è difficile per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio» (Mc 10,23)
    14102018Di fronte alla tentazione, così presente nella nostra cultura consumistica, di fare della ricchezza l’unico obiettivo dell’esistenza il vangelo di Gesù indica la via stretta della moderazione, la quale può insegnare l’apertura del cuore e la disponibilità a renderci sensibili alle necessità di chi sta nel bisogno. Infatti, non la ricchezza (il denaro) in sé è cattiva, ma l’uso distorto ed egoistico che se ne può fare. Disponibilità allora significa imparare a mettere l’avere al servizio dell’essere, imparare la prospettiva sapienziale per cui «tutto l’oro al suo confronto è un po’ di sabbia», imparare che gli idoli (di qualsiasi forma) allontanano dal regno di Dio. Il vangelo pone anche a noi la domanda più fondamentale: che cosa fare per avere la vita eterna? Gesù risponde proponendo la scelta del distacco del cuore da tutto ciò che può creare schiavitù. La reazione dell’anonimo che poneva tale domanda a Gesù mostra quale ostacolo possa essere l’attaccamento alla ricchezza per la scelta di seguire Gesù. La prima lettura orienta nella medesima direzione: esorta a chiedere a Dio una sapienza che non si fonda sulle cose terrene, ma che solo lui può donarci. Questa sapienza può renderci interiormente liberi e disponibili. Una sapienza che la seconda lettura concretizza nella parola di Dio, «viva, efficace e più tagliente di ogni spada», l’unica che può aiutare il credente a discernere con verità i sentimenti e i pensieri del suo cuore.

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  • «Chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso» (Mc 10,15)
    07102018L’amore è il “segno” di Dio nella storia dell’umanità. La chiesa lo ha elevato alla dignità di “sacramento” nella forma della comunione di vita tra gli sposi, a fondamento della famiglia. Sacramento vuol dire “segno efficace” e visibile della presenza di Dio, per costruire una storia di comunione, in alternativa ad una storia di conflitti e di odio. L’amore reciproco diventa così il segno più elevato della libertà umana messa al servizio della comunità degli uomini: l’amore che vuole la vita, non la morte, degli altri, perciò l’amore come fonte e garanzia di eternità. Anche la risurrezione di Gesù è opera dell’amore del Padre: così anche la speranza della nostra personale risurrezione è fondata sullo stesso amore divino, del quale siamo chiamati a dare testimonianza. Il vangelo annuncia il mistero dell’amore: vivere in esso comporta impegno di fedeltà, richiede uno sguardo reciproco fiducioso e trasparente, come quello dei bambini. La benedizione di Gesù riguarda proprio chi è capace di questo sguardo amorevole, e lo diffonde ovunque: così infatti si costruisce il regno di Dio su questa terra. L’ideale di questa comunione è proposto sin dalla prima lettura, che ci riporta alle “origini”, ossia al principio fondante della comunità umana. Gesù lo rievoca nel vangelo e lo affida come “missione” a tutti quelli che crederanno in lui. Questa origine, da cui tutti proveniamo e alla quale tendiamo, è richiamata anche dalla seconda lettura: in Cristo, primogenito di molti fratelli, l’umanità può ritrovare la comunione originaria.

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  • «MESTRO, NELLA LEGGE QUAL’È IL GRANDE COMANDAMENTO?» Mt 22,36

    29102017Riconoscere la signoria di Dio sulla nostra storia significa cercare e trovare il suo “volto” negli eventi e nei volti che incontriamo ogni giorno nella nostra esistenza. Non esiste contraddizione tra amare Dio e amare il “prossimo”, ossia coloro a cui noi ci facciamo prossimi, poiché Dio, nella sua libera comunicazione di sé, si manifesta a noi nelle categorie dell’umano e, in modo del tutto speciale, nella umanità di Gesù di Nazaret, che noi riconosciamo come il Cristo, il Figlio inviato a salvarci. Perciò impariamo a conoscere Dio proprio imparando a conoscere l’uomo e, sull’esempio di Gesù, ad amare Dio nel fratello d’ogni giorno. Al centro del vangelo di oggi sta il “comandamento” più grande: la sua “grandezza” sta nella totalità di adesione che richiede: amare Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le forze! Da questo amore dipende il senso anche dell’amore per l’uomo, soprattutto là dove questo diventa difficile.
    Nella prima lettura una particolare concretizzazione dell’amare l’uomo per amore di Dio riguarda l’accoglienza del povero e del forestiero: al di là dei semplici doveri di giustizia, il credente è chiamato ad un di più, ossia a coinvolgere il proprio cuore di fronte al bisogno dei più fragili e indifesi che chiedono aiuto.
    Nella seconda lettura Paolo ricorda ai cristiani di Tessalonica che sono diventati “discepoli” di Cristo accogliendo la sua parola pur in mezzo a difficoltà: rinunciando agli idoli essi hanno reso possibile un radicale cambiamento della loro vita e sono diventati credibili testimoni del Risorto.

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  • «La festa di nozze è pronta ma gli invitati non erano degni…» Mt 21,37

    15102017In tutte le culture il banchetto è simbolo di comunione. A questa visione non è estranea la comunità cristiana che, fin dalle sue origini, ha trovato nella mensa eucaristica il centro e la sorgente della sua vita di fede. La chiesa, infatti, è fedele a se stessa solo proponendosi come realtà che unisce gli uomini con Dio e tra di loro: perciò la sua missione è di andare incontro all’umanità, in ogni luogo, per creare legami. In mezzo agli altri uomini il cristiano non è mai un “isolato”, anche se può sentirsi diverso, per mentalità, valori e scelte, rispetto a tanti altri. E la sua vita può diventare segno di salvezza per tanti a condizione che lavori per l’unità e non per la divisione tra gli uomini. Nel banchetto che il Signore prepara, secondo la prima lettura, egli stesso offre doni ai convitati: a partire dalla sua presenza, che si manifesta come amicizia e protezione. La visione profetica è persino suggestiva: non ci sarà più ignoranza di Dio, non ci saranno più morte, lacrime o condizioni disonorevoli. Il vangelo, con la parabola del grande banchetto a cui tutti sono invitati, esprime la volontà di Dio di aprire a tutti la possibilità di partecipare alla gioia. La partecipazione al banchetto, però, comporta non una risposta qualunque, ma l’impegno a rendersi degni. La grazia divina non può diventare pretesto per una vita non degna di lui. Le difficoltà affrontate da Paolo per amore di Cristo vengono presentate nella seconda lettura mediante i contrasti tra abbondanza e indigenza, sazietà e fame. Seguire Cristo vuol dire anche percorrere una strada in cui è richiesto di accettare sofferenze e umiliazioni. L’apostolo è però convinto della riuscita: «Tutto posso in colui che mi dà la forza!».

  • «Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli…» Mt 21,28

    01102017Il tema della Parola odierna può essere individuato nel fatto che agli occhi di Dio nessuno è emarginato: la parabola dei due figli, che assumono comportamenti diversi nei confronti del padre, sembra giustificare l’orientamento che Gesù ha seguito nella
    sua vita nei riguardi dei socialmente disprezzati. A coloro che si scandalizzano per la sua predilezione per i peccatori egli ribadisce che questi sono i prediletti del Padre, più che i benpensanti convinti di essere nel giusto. Il sentimento di autosufficienza è, anche nella nostra cultura, quello che più tiene lontani dalla fede e più chiude gli animi nel proprio egoismo.
    Perciò la Parola invita alla conversione, per dare nuovo orientamento alla vita. Il messaggio della prima lettura è chiaro: convertirsi al Signore è vivere! La parola di Dio non ha come scopo il castigo, ma di ottenere un cambiamento nella condotta. Ezechiele è il profeta della responsabilità individuale: ciò che conta davanti a Dio è il cuore di ogni singola persona.
    In questa direzione il vangelo pone l’interrogativo: che cosa significa fare la volontà di Dio? La parabola dei due figli che rispondono in modo diverso all’invito del padre non vuole porre sull’altare i peccatori e disprezzare chi vive una religiosità secondo tradizione. Vuole invece evidenziare che fare la volontà di Dio non è questione solo di parole, ma esige il coraggio di sporcarsi le mani. Allo stesso modo, nella seconda lettura, l’obbedienza a Cristo è per Paolo fondamento della vita cristiana. Ma affinché essa sia autentica, egli esorta i cristiani all’umiltà, in contrapposizione agli atteggiamenti egoistici che distruggono la vita comunitaria. L’umiltà del cristiano ha come esempio quella di Cristo.

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  • «Zaccheo, scendi subito, perchè oggi devo fermarmi a casa tua» (Lc 19,5)

    30102016L’incontro con Gesù può portare ad una rivoluzione nella nostra esistenza, poiche puo trasformarci nel profondo del cuore. E' quanto è accaduto al personaggio Zaccheo, di cui parla il vangelo di oggi: egli puo diventare paradigma di ogni credente cristiano. Dall’incontro con Gesù, dalla scoperta di sentirsi amati nonostante la propria povertà, puo scaturire la conversione interiore, un cambiamento di direzione che rende capaci di guardare anche gli altri con occhi nuovi, come persone da amare: alla volontà di dominio e di possesso può allora sostituirsi la capacità del dono libero e della generosità gratuita.
    Nella vicenda di Zaccheo il Vangelo ci mette di fronte ad una delle dimensioni centrali dell’esperienza cristiana: cercare l’incontro con Gesù, accoglierlo nella propria casa, ascoltare la sua parola, tutto ciò può trasformare il cuore e la vita. E proprio nei suoi effetti, nella testimonianza concreta nel quotidiano, che si dimostra l’autenticità della fede.
    La volontà d’amore di un Dio che chiama all’esistenza e conserva in essa tutte le cose e la risposta che la prima lettura indica a chi si chiede perché Dio si riveli tanto paziente con i peccatori. La sua pazienza è frutto della misericordia, che permette ad ogni creatura di aprirsi alla speranza.
    Per lo stesso motivo la seconda lettura invita i cristiani a non lasciarsi confondere o turbare da coloro che creano inquietudini prospettando la imminente “venuta del Signore”: per Paolo cio che conta è la ≪volontà di bene e l’opera della fede≫. Questo, infatti, glorifica il Signore e prepara al suo incontro.

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  • «Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo l’altro pubblicano…» (Lc 18,10)

    23102016Gesù inaugura, con la sua vita e la sua parola, il regno di Dio nel quale trova pienezza il destino dell’essere umano e del cosmo intero: per questo la fede in lui è per noi causa di salvezza. Egli solo ci conduce all’incontro con il Padre, la cui “giustificazione” è per noi grazia e non conquista. La nostra ricerca di lui può svolgersi solo nell’umiltà del pubblicano, non nell’orgoglio religioso del fariseo: è una ricerca che implica riconoscimento della condizione di creature e accettazione della nostra vulnerabilità, per aprirci fiduciosamente alla sua misericordia.
    Giustificazione allora significa rinnovamento di noi stessi ad opera di Dio: la fede, infatti, ci rende figli e chiede a noi una vita di figli.
    Nel Vangelo ci è presentato il contrasto tra la preghiera del fariseo e quella del pubblicano: è un quadro che interpella la nostra immagine di vita “religiosa” e ci pone davanti ad una scelta, quella di intendere la religione come pratica istituzionale esteriore e formale, oppure quella di cercare la salvezza dalla nostra povertà nell’affidarci al Padre. Secondo il vangelo viene giustificato chi si fida di Dio e non chi fonda la propria sicurezza nelle sue opere.
    La metafora a cui ricorre la prima lettura per descrivere la preghiera dell’umile, un grido che penetra le nubi, mostra quale atteggiamento assicura efficacia al pregare: non l’orgoglio che pretende, ma l’umiltà di chi invoca aiuto, consapevole del proprio limite.
    Non diversi sono i sentimenti che animano Paolo nella seconda lettura: l’offerta della sua vita, nel servizio alla comunità cristiana, esprime tutta la sua fiducia nel Signore, che solo può liberarlo da ogni male e salvarlo.

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  • «In una città viveva un giudice che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno…» (Lc 18,2)

    16102016La preghiera “cristiana” non e uno strumento per forzare Dio ad assecondare la nostra volonta, ma piuttosto per chiedere a lui la forza di aderire alla sua volonta. Non e un’azione magica volta alla risoluzione dei nostri problemi, ma richiesta, come si afferma nel vangelo di Luca, dello Spirito Santo, per comprendere il senso degli avvenimenti e diventare capaci di testimonianza: Dio, infatti, conosce cio che e bene per noi. In tal senso il pregare e autentica espressione della fede e nasce dall’ascolto e dall’accoglienza della parola che Dio ci rivolge attraverso Gesù.
    Se la preghiera scaturisce da vera fede, diventa allora più facilmente anche stimolo ad un impegno per vivere e diffondere
    la sua Parola. La parabola narrata nel Vangelo mostra quale caratteristica possa avere la preghiera cristiana: la perseveranza, che si fa espressione della fiducia. La convinzione che “Dio fara giustizia” puo diventare il respiro della nostra vita quotidiana: nel senso che egli puo guidarci a cio che e giusto per noi, riempiendo di significato e di coraggio tutti i momenti e tutti i vissuti. Le braccia tese verso il Padre sono immagine del nostro atteggiamento filiale: cosi nella prima lettura e raffigurato Mose, che intercede per il suo popolo con le braccia alzate verso Dio.
    In modo analogo, il contesto ecclesiale nel quale acquista pienezza di significato il pregare viene indicato nella seconda lettura, che esorta a restare saldi nella fede e nella testimonianza, nutrite dalla conoscenza di Cristo.

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  • «Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio…» (Lc 17,15)

    09102016 lunLa celebrazione dell’eucaristia è continuo richiamo al dovere cristiano della gratitudine.
    Di essa parla a noi, infatti, la parola evangelica di oggi. È vero che il dono gratuito della salvezza di Dio è cosa diversa dalla gratitudine umana, ma fra di esse c’è continuità.
    È anche vero che una cultura, quale è la nostra, in cui gran parte dei rapporti sono basati sull’utile e il profitto, rende difficile contemplare e vivere nel profondo la gratuità dell’amore di Dio a noi donato.
    E, di conseguenza, diventa difficile anche imparare a essere a lui grati e ad esprimere in modo consapevole la nostra gratitudine. L’eucaristia è, in questa prospettiva, un aiuto: non si tratta di una pratica qualunque di culto, tanto meno una legge da osservare per mettere a posto la coscienza, ma è l’azione di grazie che nasce da una gioia interiore per essere stati amati e salvati senza condizioni. Raccontando la guarigione dei lebbrosi ad opera di Gesù, il Vangelo richiama la nostra attenzione sulla gratitudine di uno solo, e per di più straniero, un samaritano. Il suo grazie a Gesù nasce in primo luogo da una fede vera, che si esprime nella lode a Dio e nel riconoscere in Gesù il suo amore salvante. Gesù stesso gli conferma: «Alzati e va’; la tua fede ti ha salvato». Questa gratitudine è dunque l’atteggiamento fondamentale della persona credente, che scopre come la salvezza non sia conquista, ma grazia. La storia di Naaman, nella prima lettura, testimonia questo stesso atteggiamento di riconoscenza nei confronti di Dio: «Ora so che non c’è Dio su tutta la terra se non in Israele!»
    Qui motivo di gratitudine è la fedeltà di Dio. La stessa convinzione esprime Paolo nella seconda lettura: «Se noi manchiamo di fede, egli però rimane fedele, perché non può rinnegare se stesso».

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  • «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso…» (Lc 17,6)

    02102016Dove stia la forza della fede cristiana lo dice in modo sintetico e chiaro un documento del magistero della chiesa: «La fede è virtù, atteggiamento abituale dell’anima, inclinazione permanente a giudicare e ad agire secondo il pensiero di Cristo con spontaneità e vigore» (RdC 52).
    Intesa come dono di Dio, la fede è anche principio di conoscenza, una guida a leggere la realtà dal punto di vista di Dio. Perciò il cristiano trova nella sua adesione di fede a Gesù il Cristo la forza per discernere ciò che è bene e ciò che è male, la forza per una critica costruttiva nei confronti di qualsiasi ideologia, la forza per liberarsi da ogni forma di idolatria. In questo senso ci conferma la prima lettera di Giovanni: «Questa è la vittoria che ha sconfitto il mondo, la nostra fede» (1 Gv 5,4).
    Riscoprirci ogni giorno come servi inutili, secondo l’esortazione del Vangelo di oggi, è la condizione per vivere autenticamente la propria fede, riconoscendo che la salvezza non è una nostra conquista, ma solo grazia di Dio. La fede vera richiede dunque l’umiltà del cuore, la rinuncia all’orgoglio dell’autosufficienza, un rischio con cui i cristiani devono oggi sempre fare i conti.
    Credere è affidarsi a Dio. Lo vediamo nella prima lettura: Dio sembra assente dalla storia, soprattutto quando ci troviamo di fronte al dilagare dell’oppressione e dell’ingiustizia.
    E tuttavia per il credente è proprio la sua fiducia in Dio che può diventare via e criterio per comprendere l’enigma della storia umana.
    Nel combattimento della fede, così ascoltiamo nella seconda lettura, non siamo soli: Dio non ci ha dato uno spirito di timidezza, ma di forza, di amore e di saggezza. Occorre perciò ravvivare sempre il dono di Dio che è in noi.

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